«Da circa l’ora sesta tenebre offuscarono tutta la terra sino all’ora nona, e si oscurò il sole. Ed all’ora nona esclamò Gesù a gran voce dicendo: Dio mio, Ilio mio, per. chè m’hai abbandonato!».
Maria con occhi lacrimosi, più attentamente li fissa in volto al diletto Figlio agonizzante, come per leggergli negli occhi e nelle labbra l’interna angoscia, che le fanno indovinare quelle dolenti parole. Quasi non si accorge del sole che vien meno; del suolo che si scuote, delle rupi che si spezzano. Ciò non le reca meraviglia, chè troppo bene conosce la dignità del momento, e l’acerbità del delitto che si commette dagli uccisori. Ma quelle parole!… Quelle parole, che dal moto delle labbra riarse di Gesù, si vede che sono seguite da altre esprimenti l’interna angoscia di lui sono l’ultima fervida preghiera sacerdotale!
Ecco il momento, e Maria se ne accorge, che l’eterno Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec, Gesù Cristo suo Figlio secondo la carne, offre le sue preci e supplicazioni a Colui che può salvarlo da morte, con grida valide fra lacrime, ed è esaudito per la riverenza sua. La Corredentrice unisce le sue preci a quelle del Figlio, mentre beve con lo sguardo tutta l’atrocità delle agonie di lui. Non bastava che egli fosse ridotto tutt’una piaga nel santissimo corpo; non bastavano gli spasimi che trasmettono a tutto il corpo le quattro orribile ferite dei chiodi nelle mani e nei piedi: non basta l’acuta dolorosa febbre causata da quello stiramento di membra, inasprimento di ferite, indolimento di nervi, muscoli ed ossa: un nuovo tormento più amaro degli altri manifesta il caro Figlio: l’abbandono di Dio! Noi lo intendiamo con difficoltà. Maria lo intendeva benissimo; ma come farò io ad immedesimare il mio sentimento con quello dell’addolorata Vergine?
Rifletti, anima mia, che le parole di Gesù, sono quelle che gli mise-in bocca tanti secoli prima il suo re antenato Davide: rifletti, alle altre parole che seguono queste prime: Dio mio, io grido a te durante il giorno, e tu non mi esaudisci, grido di notte, e non trovo riposo; ti sei allontanato dal porgermi aiuto, né sembri udire- il ruggito del mio pianto!… ». Tu che esaudisti sempre i padri nostri quando ricorsero a te, ora hai abbandonato il tuo Figlio diletto, che « non sembra più un uomo, ma un verme, ma l’obbrobrio degli uomini, lo scherno della plebaglia. Com’acqua mi dileguo, e le mie ossa si sono scompaginate: il cuore mi si strugge come cera nel mezzo delle viscere: si è disseccato com’arido coccio ogni mio vigore, la, lingua mi si attacca alle fauci: ho sete! mi sento morire!… » Quale abbandono del Figlio di Dio! Abbandono esterno a tanti tormenti: abbandono interno all’angoscia più amara che un’anima santissima possa soffrire! Così Cristo ci redime dalla maledizione della legge facendosi per noi cosa maledetta, noichè sia scritto “maledetto colui che pende dal legno” Gesù non trasgredì la legge, ma fummo noi che la trasgredimmo; noi meritammo la maledizione eterna e Gesù volle pigliarla sopra di sè questa maledizione, per liberarne noi; così egli è abbandonato, riguardato da Dio come vittima piacolare, che porta la pena dei peccati per i quali si offre… Maria sola in quel momento comprendeva tutta la desolazione umana di quell’abbandono, e ci ha la sua parte non piccola, comparendo, madre del votato alla morte; sentendo straziare in Gesù suo vero Figlio le proprie carni, le proprie viscere, e dovrebbe dirsi, l’anima propria! Ecco i due più santi personaggi che mai furono al mondo, oppressi sotto il peso della maledizione dovuta ai peccati nostri!
Oh l’atroce male che è il peccato!… Ed io lo commetto con tanta facilità!? Non rifletti, anima mia, al pericolo, che tanta ingratitudine al Redentore, tanto disprezzo del suo Sangue sparso per te, ti riduca a non trovar più vittima espiatrice, e dover tu stessa portare l’eterna maledizione?
O Vergine dolentissima, per tante anime che vogliono perdersi a dispetto della Vittima divina, pregate tanto tanto per me miserabile, affinchè riconosca nell’abbandono del vostro Figlio crocifisso, i tremendi effetti del peccato, ed abbia forza ed animo risoluto di fuggirlo sempre.
Mi ecciterò a viva contrizione e detestazione dei peccati da me commessi, rinnovando un fermo proposito di piuttosto morire che mai più peccare.