Jim Caviezel è stato presente a Medjugorje per raccontare ai giovani accorsi per il festival la sua incredibile avventura: quella di prestare il suo corpo a Gesù Cristo per un film “The Passion”.
Il film “La Passione di Cristo” è stato e continua ad essere sulla bocca di tutti. “Sono arrivato a questa parte attraverso Medjugorje, attraverso la Madonna. Durante la preparazione ho utilizzato tutto quello che Medjugorje mi ha insegnato”, racconta il protagonista in un’intervista.
“Il regista, Mel Gibson, ed io andavamo insieme alla Messa ogni mattina. Nei giorni in cui non potevo andare, facevo almeno la comunione. Avevo sentito dire che il Papa si confessava tutti i giorni e pensai che anch’io dovevo confessarmi più spesso. Non volevo che Lucifero potesse esercitare un controllo su quello che facevo. Per questo ho anche digiunato…”
La corona del rosario tra le mani nella pausa delle riprese, l’Eucaristia quotidiana che ogni mattina si celebrava sul set, le reliquie dei santi e della Croce cucite nella tunica: “Il veggente Ivan e sua moglie Laureen mi hanno dato un pezzettino di Croce. La porto sempre con me. Proprio per questo sui miei vestiti è stata realizzata una speciale tasca. Porto con me anche le reliquie di Padre Pio, di Sant’Antonio di Padova, di Santa Maria Goretti e di San Denis, il protettore degli attori”.
Questi gli strumenti con i quali Jim ha affrontato il ruolo impegnativo degli ultimi istanti di Cristo in terra, l’Ora della sua Passione.
“Credo che questo film sia stata anche la mia passione”, continua l’attore americano. “Ho dovuto lottare contro il freddo, contro i crampi, contro il mal di testa che mi procurava la corona di spine. Ho dubitato della mia fede… Poi ho capito che non avrei potuto rappresentare il dolore senza soffrire veramente…”
Sebbene sia stato già utilizzato moltissimo inchiostro a commento di questo film e si rischia di apparire ripetitivi, non potevamo tacere queste parole. Perché è doveroso sottolineare la tonalità di fede con il quale questo film è stato pensato, affrontato e vissuto dai protagonisti, che non potevano rimanere estranei allo spessore di vita che tutto questo comportava.
Una troupe e un cast multiformi, composti da gente di diversi paesi e convinzioni: “È un film che inneggia all’amore, alla tolleranza… Non ho avuto un momento di esitazione” racconta l’attore.
“Gibson più volte mi ha detto che rischiavo, che c’era la possibilità che dopo questo film nessuno mi avrebbe fatto più lavorare a Hollywood. Gli ho risposto che ero un credente e che tutti devono portare una croce… Non avevo idea di quanto avrei dovuto pregare durante il film per riuscire a mantenere la prospettiva giusta… Pregavo anche che dietro il trucco gli spettatori non vedessero più me ma il volto del Messia, di Gesù Cristo”.
Stefania Consoli
Fonte: Eco di Maria nr.175
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