Testimonianza di Roland Patzleiner tratta da “Madre di Misericordia” di fra Francesco Maria Rizzi, Editrice Shalom
Mi chiamo Roland Patzleiner e faccio parte della comunità religiosa Figli del divino amore. Da anni vivo nella nostra casa di Medjugorje e presto servizio insieme ai miei fratelli, presso la parrocchia di San Giacomo con il ministero del canto. Ho 37 anni e sono nato a Bolzano, nell’Alto Adige. La mia famiglia è di madrelingua tedesca; la nostra cultura è austriaca Sono cresciuto in un ambiente cattolico e in una famiglia credente con tradizioni cattoliche. Dalla quinta elementare in poi ho fatto il chierichetto per nove anni nella mia parrocchia.
A scuola mi trovavo spesso a disagio perché facevo fatica a seguire ciò che facevano gli altri e ad essere diligente. Ero un tipo piuttosto introverso. In famiglia mancava il dialogo e non c’era la preghiera, fuorché quella dei pasti. Così crescendo negli ambienti scolastici e tra gli amici, a 13 anni ho iniziato a fumare e a bere alcool.
Ero ad una festa di compleanno dove ho sperimentato la prima volta l’effetto dell’alcool bevuto in eccesso e quella gioia e apertura che avevo vissuto si trasformarono per me in una realtà da ambire per sfuggire dalle cose che non riuscivo ad affrontare, legate al sacrificio e alla sofferenza, necessarie per crescere e vivere la vita. Quando finii la scuola media lasciai il servizio di chierichetto e mi allontanai dai sacramenti. La mia casa si trasformò in albergo dove andavo solo per mangiare e dormire e la mia pseudo-famiglia diventarono i cosiddetti amici e compagni di strada. La situazione interiore di instabilità e fragilità si manifestava sempre di più con l’incapacità di concludere qualcosa di buono. All’alcool e alla sigaretta si aggiunse ben presto la droga leggera e poi tutti gli altri tipi di droga più pesante, anche se ho avuto la grazia di non usare mai le siringhe.
Ho iniziato tre scuole superiori e non sono riuscito a finire neanche un anno. Poi ho abbandonato la scuola e ho iniziato a lavorare. Anche lì non riuscivo a resistere più di sei sette mesi in un posto, poi dovevo cambiare. Dai 14 ai 21 anni sono cresciuto in questo modo, maturando in me una inconsistenza e fragilità interiore grandissime. La musica era per me un altro elemento importante della mia vita. Da piccolo avevo già imparato a suonare la chitarra. Suonavo nei gruppi e seguivo i grandi idoli della musica Rock e del Heavy Metal.
Una volta in casa, con mamma e papà mi arrabbiai per una cosa e dentro di me si scatenò un odio e una ribellione tale che, come tante altre volte, andai nel soggiorno sbattendo dietro di me la porta con violenza e chiudendola a chiave, per ascoltare a tutto volume la musica che disturbava tutto il condominio, la musica del mio gruppo preferito, all’epoca i Krokus, gruppo svizzero di Heavy Metal, sentendo dentro di me che si alimentavano i miei sentimenti di ribellione. Ho specificato il gruppo perché mi rimase impresso che il chitarrista di quel gruppo (mio grande idolo), tempo dopo si tolse la vita. Tali erano i miei personaggi da imitare e per i quali sentivo simpatia, nonostante non li avessi mai incontrati.
Quello che volevo realizzare nella mia vita era diventare un chitarrista di quelli famosi, virtuosisti, e con la droga e l’alcool “pacificare e nutrire il mio interiore”. Questa era la prospettiva della mia vita. Quante ore trascorse nel nostro luogo di ritrovo che si chiamava “panchina”, dove ci si aspettava per drogarsi insieme e poi fare dei giri in città per combinare qualcosa. Nella mia chiusura e distorsione, crescevo senza imparare a relazionare e a scoprire cosa è la vita. L’altro sesso era solo oggetto di desiderio, era lontano da me sapere cosa voleva dire amarlo. Le compagnie che frequentavo erano coinvolte in spiritismo e anche se io non partecipavo a queste cose, il male, comunque, mi aveva lo stesso legato e abbindolato.
La droga mi indeboliva la volontà. Non volevo niente di preciso, solo quello che secondo me serviva al momento per star bene, tranquillo. Un giorno, un mio amico mi voleva presentare allo stregone della mia città, che si chiamava con il soprannome “dente avvelenato”, ma grazie a Dio, non l’ho mai incontrato. Mi ricordo alcuni avvenimenti che mi sono accaduti quando ero particolarmente sotto l’influsso delle droghe e uno di questi è ciò che segue: una sera camminavo in un vicolo stretto e buio che si trovava vicino alla casa di un amico che stavo aspettando, ero abbastanza “fuori”; ad un tratto, e mi vengono i brividi a ricordarlo, passò accanto a me un uomo snello, alto, vestito con un frack nero, un cappello e un bastone ma non potevo vedere la sua faccia, poi lo vidi scomparire fisicamente mentre si allontanava e rimasi impietrito.
Solo molto tempo dopo, dopo la conversione, capii il significato di quell’esperienza, cioè, che con la vita che conducevo satana camminava al mio fianco.
Con le diverse esperienze del male, il maligno voleva far maturare in me la fuga finale: il suicidio, perché nei momenti di riflessione, non potevo trovare il senso della vita.
Ero favorito dalla mia abilità acquisita di sfuggire la realtà, la fatica, la sofferenza, e coerente con dottrine trasmesse dagli spiriti del male attraverso la musica satanica e il mio egoismo: non rimaneva altro che compiere la grande fuga.
Questo era il sottile intento che stavo maturando in quella condizione di uno che è lontano da Dio, da se stesso, dalla sua famiglia e dalla realtà.
In quegli anni di tenebre i miei genitori, già da tempo, avevano incominciato a frequentare un gruppo del Rinnovamento carismatico tedesco ed erano venuti a Medjugorje la prima volta. Pregavano tanto per me insieme ad altri. Mia mamma, quando venne a Medjugorje, sentiva che doveva riuscire a portarmi là, aveva posto tutte le sue speranze nella Mamma celeste.
Marisa Baldessari di Bolzano, organizzava ogni mese un pullman per Medjugorje e tante volte mia mamma mi diceva: “Roland guarda a Medjugorje appare la Madonna , vai!” E io rispondevo: “Sì. sì…!” Non avevo nessun interesse. Un giorno mia mamma insieme a Marisa sono riuscite nel loro intento di farmi arrivare a Medjugorje, perché insistevano tanto, e quel poco di buono che era in me, non poteva più rifiutare, perché dicevano che il viaggio era gratis.
Accettai per far tacere mia mamma. Mi ricordo, non andai neanche in chiesa, né sulla collina delle apparizioni, né sul Krizevac, l’unica cosa che mi interessava nell’87, era il tabacco.
Tornai a casa, continuando la mia vita. Ben presto la mia situazione peggiorò a tal punto che dissi nel mio cuore: “Se non cambierà qualcosa nella mia vita entro breve, la faccio finita”. Dieci giorni dopo mi trovai a Medjugorje.
All’arrivo la Mamma celeste mi liberò dalla droga e da altri vizi e incominciai a seguire ciò che facevano i pellegrini. A Medjugorje mi sentivo a casa.
Quando ero sulla collina delle apparizioni, sul Krizevac, in chiesa, quando camminavo sui sentieri tra i campi sentivo una pace e un amore grande che mi avvolgeva. Mi sentivo accettato e amato.
Fin dall’inizio mi rimase impressa Jelena Vasilij, perché Marisa ci portava sempre da lei, all’incontro e perché mi piaceva tanto quella ragazza, era dolce e bella ed emanava qualcosa di speciale. L’esperienza che mi ha aiutato di più ad introdurmi nella vita spirituale e a vivere la fede è stata quella della preghiera comunitaria nella chiesa di Medjugorje, poi quella dei gruppi di preghiera e della comunità.
Sentivo una forza che mi aiutava a superare tante cose che altrimenti avrebbero impedito l’apertura del mio cuore alla grazia.
Dopo quel pellegrinaggio feci il primo tentativo di cambiare vita. Tornato a casa però dopo poco tempo incontrando gli amici, ricaddi fino a usare di nuovo la droga. Ci voleva poi sempre tanta grazia per riuscire ad uscire di nuovo ed era impossibile senza distacco dagli ambienti cattivi e senza Medjugorje. Così un’altra volta, mia mamma era riuscita a convincermi a tornare a Medjugorje, ma non volevo lasciare la droga leggera perché ero iperconvinto che non era poi una cosa così malvagia e grave e che si poteva usare anche vivendo normalmente. Invece non è assolutamente così.
È stata proprio quella ad indebolirmi la volontà, e le facoltà spirituali di conseguenza, a tal punto da non riuscire a lottare e contrappormi al male. Per farmi capire questo, la Mamma celeste mi fece capitare ciò che segue: quella volta, quando dovevo partire per Medjugorje, decisi di prepararmi gli spinelli per il viaggio e una piccola quantità di droga da prendere con me per quei giorni.
I miei mi portarono al luogo dove partiva il pellegrinaggio. Mia mamma aspettava sempre finché il ‘ pullman non fosse partito, perché aveva paura che io scendessi all’ultimo momento dall’autobus e sparissi per alcuni giorni. Ero capace di farlo.
Avevo nascosto nella tasca interna della mia giacca gli spinelli e l’altra roba e avevo messo la giacca su un sedile dell’autobus dove mi ero piazzato. Non c’erano giovani in quel pellegrinaggio, : c’era più gente anziana. Partiti da Bolzano, non vedevo l’ora che arrivassimo alla dogana tra l’Italia e l’Austria, per poter fumare il mio spinello e alleggerirmi il viaggio così lungo.
Arrivati lì, scesi tranquillamente prendendo la mia giacca e mi nascosi in un posto appartato. Infilai la mano nella tasca interna della giacca e non trovai più la scatolina. Mi prese un colpo: agitatissimo cercai in tutta la giacca, ma niente.
Corsi al pullman e cercai sotto il sedile ovunque poteva essere caduto, ma niente. Nessuno poteva averlo rubato o preso perché: 1. nessuno sapeva di questa cosa, neanche i miei a casa, 2. nessuno sul pullman poteva essere interessato a quella roba.
Allora in quel momento accadde in me una esplosione così forte che mi spaventai di me stesso, perché in tutta la vita non avevo mai sperimentato una violenza così forte dentro di me. Non mi riconoscevo assolutamente e dovetti constatare che quelle sostanze, che io consideravo innocue, non erano poi così tanto innoque per causare una reazione tale. Decisi dentro di me di tornare indietro perché il legame e la dipendenza con la droga era così forte che vedevo con gli occhi della mente il cassetto con dentro il blocco di roba che avevo a casa, coperto con la pellicola d’alluminio. Ma eravamo in Val Pusteria, era mezzanotte e non c’era traffico, né c’erano treni che passavano a quell’ora.
Non si può descrivere come continuai quel viaggio. Arrivati a Medjugorje mi calmai e presi coscienza piano piano. In quel viaggio ebbi una liberazione che si concluse con una lunga confessione, con Padre Philip ofm, che all’epoca era qui a Medjugorje e parlava l’inglese. :
Mi aiutò nella confessione facendomi domande sull’occultismo su ciò che avevo fatto e non avevo fatto, e mi ricordo che piangevo tanto e anche per giorni non sapendo esattamente perché.
Fu allora che, nel viaggio di ritorno, dissi a Marisa: “Non voglio più tornare a casa e stare bene per una settimana e poi ricadere” e le chiedevo cosa significassero le parole di Maria Regina della pace: “Decidetevi per Dio” che mi risuonavano continuamente. Aprendomi a lei, il Signore mi diede la grazia di desiderare e decidermi ad iniziare a pregare ogni giorno un Rosario e andare alla santa Messa ogni giorno. La grazia più grande è stata quella di abbandonare, per me fu un atto eroico, tutti gli amici con cui ero cresciuto nel mondo della musica e della droga.
Fu dura, perché desideravo avere relazioni sane, che avevo iniziato a sperimentare a Medjugorje. Il tempo di prova, di solitudine, non è stato lungo. Poi la Mamma celeste mi ha fatto incontrare il mio primo gruppo di preghiera nella chiesa dei Tre Santi a Bolzano, dove ho incontrato altri amici veri.
Il cuore viene riempito di stupore e gratitudine quando si riesce ad intravedere l’infinita bontà e l’amore con cui Dio, per mezzo di Maria, predispone i suoi disegni provvidenziali per la nostra salvezza. Io fui affidato alle preghiere di un sacerdote che avevo visitato insieme alla mia famiglia a Padova, molti anni prima della mia conversione, Pater Leo Haberstroh. La chiesa di Tre Santi a Bolzano non è la mia parrocchia, ma ho iniziato il mio cammino di conversione nella cappella di quella chiesa e mi sono sempre chiesto come mai il Signore mi ha fatto capitare lì. Poteva essere la mia parrocchia o un altro posto ma sentivo un calore fortissimo in quella cappellina. Il parroco di quel tempo era tanto forte e simpatico, mi ha aiutato molto, si chiamava Don Augusto ed era stato missionario in Brasile. Vorrei, come già detto, riuscire a testimoniare come lavora Dio e la Madonna , quanto è importante la fede e quanto è importante rispondere alla chiamata di Maria Regina della Pace per la propria vita e per quella degli altri e credere che la nostra preghiera e il nostro sacrificio sono importanti anche se spesso non vediamo il frutto.
La Mamma celeste ha detto a Fatima: “Tante anime vanno all’inferno perché non c’è nessuno che prega e si sacrifica per loro.” A Medjugorje continua ad invitare alla preghiera e al sacrificio: “Senza le vostre preghiere non posso realizzare ciò che desidero”.
Il sacrificio e la preghiera di quel sacerdote, insieme a quello dei miei cari e di coloro che Dio ha voluto usare per la mia salvezza, ha fatto sì che io potessi uscire da una situazione dalla quale non potevo uscire da solo perché il male mi aveva intrappolato e imprigionato e aveva inibite le facoltà necessarie per una libera e volontaria risposta all’amore di Dio e alla sua salvezza.
Sono riuscito a cogliere questa realtà in quel giorno in cui ho ritrovato l’immaginetta ricordo di quel sacerdote, sulla quale c’era descritta brevissimamente la sua vita e diceva che lui era stato promotore e guida del gruppo di preghiera del rosario a Bolzano, proprio in quella cappellina della chiesa dei Tre Santi, avviato nel 1982, dopo l’inizio delle apparizioni a Medjugorje.
Con il dono della musica, che usai sempre più per accompagnare i momenti di preghiera, incominciai a frequentare almeno tre, quattro gruppi di preghiera alla settimana.
Nel 1990 feci qualcosa che fu, che è e che sarà, fino alla fine della mia vita terrena, un sostegno e un atto decisivo per compiere sempre la volontà di Dio, per la mia salvezza e di coloro che il buon Dio mi vorrà affidare: la consacrazione di me stesso a Gesù, Sapienza incarnata, per mezzo di Maria, secondo San Luigi Grignon de Montfort.
I miei pellegrinaggi a Medjugorje hanno maturato in me quel desiderio che mi fece fare la preparazione alla consacrazione per trenta giorni, quotidianamente, meditando e pregando ciò che il Montfort suggerisce.
Ogni settimana mi incontravo con un gruppo a Merano vivendo insieme un momento di questa preparazione per poi compiere insieme l’atto di consacrazione nel giorno mariano stabilito che fu il 1 maggio del 1990, a Schio.
Nello stesso anno, mi ricordo, ebbi la grazia di vivere una esperienza di fede bellissima, in cui sperimentai la provvidenza di Dio e l’amore della Mamma celeste e la sua vicinanza. Bisogna, in questo caso tenere presente che io non ero mai riuscito a concludere niente di serio nella vita, come scuole e corsi, anche nei diversi lavori che avevo iniziato non riuscivo ad essere perseverante. Ero irrequieto, instabile e sempre alla ricerca di novità.
Ero tornato a casa dopo una delle mie permanenze prolungate a Medjugorje. Erano i primi di gennaio. I miei genitori e conoscenti sapevano che ero così, ma vedevano anche i miglioramenti che avevo fatto con l’aiuto di Medjugorje. Volevo dare consolazione ai miei, mostrando loro che volevo mettere a posto la mia vita con l’aiuto di Maria Regina della Pace. Decisi di andare a lavorare.
Mio padre, attraverso un amico di un gruppo di preghiera, mi procurò un lavoro come magazziniere. Incominciai il lavoro nel mese di febbraio. Ogni giorno andavo a Messa e non andavo a dormire senza aver pregato un rosario.
Al lavoro andavo bene e in breve tempo, dopo alcuni mesi, mi proposero di diventare capo-magazziniere. Ma cosa era successo? Nel mio cuore sentivo sempre più fortemente che dovevo tornare a Medjugorje, non sapevo perché, come, e quando, sapevo solo che dovevo tornare.
Ora, il problema era enorme, e quasi impossibile da gestire: non volevo deludere mio papà, dando l’ennesimo segno di incostanza; l’amico del gruppo di preghiera che aveva fatto sì che trovassi il lavoro, chissà cosa avrebbe pensato e infine il capo della ditta, che mi stimava e mi aveva offerto la promozione, cosa avrebbe detto? Per la mia fragilità mi sembrava una situazione insormontabile. L’unica cosa che potevo fare era continuare a pregare e offrire le sante Messe dicendo alla Mamma celeste che se mi voleva a Medjugorje ci doveva pensare Lei, perché per me, umanamente, era impossibile. Non passò molto tempo ed ebbi il coraggio di accennare qualcosa ai miei e dissi loro: “Sento che devo andare a Medjugorje” e la risposta fu: “Se tu pensi, va bene”. Era incredibile, perché sentivo che non erano preoccupati per questa decisione ed ero contento perché l’unica cosa che volevo evitare ad ogni costo era amareggiarli ancora.
L’altra situazione da superare era il colloquio con il capo. Mi dispiaceva deluderlo e rifiutare la sua proposta. Presi comunque l’appuntamento. La Mamma celeste mi suggerì di formulare il mio discorso d’addio nel modo seguente: “Herr Direktor, volevo informarla delle mie dimissioni, perché voglio dedicare un tempo all’approfondimento della mia vita spirituale e vivere un tempo di discernimento a Medjugorje”.
La sua risposta fu sbalorditiva, e me la ricorderò sempre: “Caro Roland, sono ammirato da ciò che desideri fare e stimo la tua decisione. Per me va bene, e se tu dovessi avere bisogno di un aiuto di qualsiasi tipo, basta che vieni”.
Una parte dei meravigliosi piani di Maria si era compiuta. Ma non era finita. Partii per Medjugorje con la mia chitarra e la mia valigia, da solo. Non sapevo per che cosa, dove andare e cosa fare, per quanto. Mi ricordo bene, e ringrazierò sempre il Signore per quella semplicità di fede che mi aveva dato da vivere in quei tempi, arrivai a Medjugorje verso sera e appoggiai i bagagli e mi dissi: “Eccomi Mamma celeste, sono qua! Ed ora?”. Non sapevo neanche dove andare a dormire. Andai al programma serale per pregare il rosario e offrire la Santa Messa e per dire ufficialmente a Gesù e Maria: “Sono qua, mi avete chiamato, cosa devo fare?”. Feci questa domanda durante la santa comunione e sentii una grande pace. Dopo i sette Pater, Ave e Gloria mi alzai per andare via e mentre mi allontanavo incontrai Pola, una ragazza irlandese che avevo conosciuto nell’ 88, insieme ad Ante che sarà il suo futuro marito, a Padre Francesco che all’epoca non era frate e ad altri nella casa di Boro Cilic, carissimo parrocchiano di Medjugorje, e mi dice:
“Ah! Tu sei qui?! Bene, vorresti lavorare con la nostra équipe irlandese per suonare e cantare per i gruppi di pellegrini irlandesi? Ti diamo vitto e alloggio e ogni settimana una piccola retribuzione!”. Cosa pensate che abbia risposto?
Veramente la Mamma celeste aveva organizzato tutto molto bene!!! Accettai e trascorsi un altro bel periodo a Medjugorje esercitando il ministero della musica che si stava formando sempre più per quello che la Madonna aveva in progetto.
La musica nella mia vita
La musica per me è stata sempre una cosa molto importante. Fu mia mamma ad insegnarmi con grande dolcezza i primi accordi sulla chitarra. Poi fu mio zio ad insegnarmi il primo Boogie Woogie e il primo Rock’n Roll. Ero piccolo Poco dopo lasciai. A 13-14 anni ripresi in mano la chitarra, perché mi avevano invitato a suonare in un complesso. Il talento che Dio mi aveva dato lo iniziai a usare per la mia gloria e le mie ambizioni. La musica fu la mia prima droga, nel senso lato, perché mi aiutava a fuggire dalla realtà, che alla mia sensibilità si fece sempre più difficile.
Il Rock satanico ebbe un effetto devastante sulla mia anima. Nei momenti più difficili divenne un’abitudine per me chiudermi a chiave nella mia stanza e frastornarmi con la musica pesante, che aveva l’effetto come di un acido che aizzava la mia anima all’odio e alla ribellione verso i genitori e verso la vita e non parlavo per giorni.
La musica è capace di veicolare forza spirituale, che è poi l’espressione di quello che l’autore vuol trasmettere. La musica ha il potere di suscitare impulsi e sentimenti a livello psichico, spirituale e fisico con le onde sonore prodotte dallo strumento o dalle voci che determinano fortemente lo stato d’animo della persona.
Nei concerti di Rock satanico vengono studiate e impostate le frequenze sonore (bassi, medi, alti) in modo tale da colpire le parti del corpo dove vengono suscitati gli stimoli del sesso, della violenza, della ribellione, della rabbia e possono portare anche al suicidio. Tanti giovani dopo un concerto del genere si sono tolti la vita, moltissimi vanno in depressione e hanno sfoghi disordinati che non permettono più di vivere la vita nell’equilibrio psichofisico.
Altri tipi di musica più leggera sono pieni di sensualità e trasmettono messaggi che annullano i valori morali e portano al disprezzo della vita destando sentimenti di tristezza, di malinconia, di pesantezza d’animo.
Nonostante ciò, questa realtà della musica del mondo porta in sé un fascino per tanti irresistibile ed è quello dello spirito del mondo, di Satana che vuole sedurre, specialmente i giovani e “imbambolarli” e rubare loro la libertà interiore e la loro dignità di figli di Dio con i suoi inganni e le sue false luci, quelle di una vita immaginaria, impossibile. Anche il mondo cinematografico forma una visione della vita lontana dalla realtà e aumenta l’insoddisfazione e il disprezzo per la vita stessa, proponendola in modo immaginario, impossibile da realizzare.
Tanti autori e gruppi musicali hanno venduto l’anima a Satana per il successo e il potere e tantissime case discografiche sono state consacrate a Satana. Condizionato e influenzato da questi spiriti, con la musica, la droga e la vita disordinata ho fatto esperienza di una profonda insoddisfazione, della paura, delle tenebre e del non senso della vita. Vivendo in ambienti così carichi di negatività la mia vita era ossessionata dagli spiriti del male che non permettevano la mia crescita interiore. A Medjugorje, P. Slavko, dal quale andai spesso a confessarmi, alla fine della confessione pregava sempre per la libertà interiore e la mia guarigione. Come nel male, più ancora nel bene, la musica è stato per me uno strumento importante per la mia guarigione e per la mia conversione. Fu grazie ad una cassetta di un cantante croato famoso, che nel 1986, più o meno, aveva registrato e dedicato una raccolta di canti a Maria Regina della Pace, che essa avvenne.
Non mi ricordo come e quando mi era pervenuta quella cassetta, ma quando dovetti tornare in Italia e assolvere il servizio militare, che mi allontanò parecchio dal cammino intrapreso, ascoltando quella cassetta piangevo tanto e mi sentivo a Medjugorje.
Dopo ogni pianto sentivo una grande pace interiore e una forza nuova; sentivo la consolazione della Mamma celeste e la certezza di tornare lì presto.
Piano piano fui liberato sempre più dagli attaccamenti sbagliati e dalle influenze negative. La preghiera e la pratica dei messaggi di Maria erano il fondamento. Ma per essere liberato definitivamente, per quanto riguarda la musica, consacrai il dono della musica alla Madonna e dovetti tagliare nettamente con tutto ciò che mi poteva ancora legare a quelle cose. Promisi alla Mamma celeste di non suonare mai più canti del mondo e di eliminare tutti i dischi cattivi che avevo in casa, all’epoca c’erano gli LP grossi. In me era maturata la certezza che ad ogni disco della musica satanica, era legato un demonio e sentivo la negatività del “pandemonio” che avevo ancora in casa e con cui dovevo ancora troncare definitivamente senza lasciare tracce.
Già troppo mi avevano deviato e ingannato con illusioni e inganni. Allora mi dissi: “Va be’, li regalerò a qualcuno”, ma la coscienza rispondeva: “No, no! Se vuoi bene ai tuoi amici non puoi regalare a loro dei demoni!”. Così un bel giorno uscii con alcuni cartoni pieni di quei dischi e li feci sparire nel cassonetto dell’immondizia. Un pò doleva il cuore, ma era un dolore sano che portò il suo frutto perché dopo quel gesto cambiarono le relazioni tra di noi in famiglia e ci fu più apertura.
I sacrifici e le rinunce per quanto riguarda la musica, nella mia vita, non sono paragonabili a ciò che la Mamma celeste mi ha dato poi in gioia e felicità, affidandole tutto. A Medjugorje mi ha cambiato totalmente: prima suonavo esclusivamente la chitarra elettrica, come virtuosista e non cantavo. Poi ho iniziato ad accompagnare e cantare i canti di Maria e Gesù. È stato per me spesso una grande scuola di mortificazione e di umiltà, ma il Signore non si lascia battere in generosità. A partire dal 1993 iniziai a sviluppare il dono di compositore e autore di canti. Non avrei mai immaginato che un giorno venissero cantati in tutto il mondo durante le liturgie, le preghiere e le Adorazioni e che sarei stato chiamato a girare il mondo per portare lo spirito di preghiera e di adorazione con la musica e per animare grandi incontri.
Siamo stati invitati come comunità già due volte negli Stati Uniti, in oltre 15 stati diversi, in Korea, e in molti paesi dell’Europa.
Da quattro anni sono stabile a Medjugorje in comunità, prestando servizio in parrocchia, ogni giorno con il canto e l’accompagnamento. Tutti i lavori e le registrazioni, in comunità li consacriamo a Maria, al suo Cuore Immacolato, per contrastare le opere del male nel campo della musica. Noi con fede crediamo che ad ogni dischetto è legato un angelo buono che intercede e prega per la conversione, la pace e la gioia di tutti coloro che ascoltano la nostra musica.
L’inizio e lo sviluppo nella comunità
Alla fine dei periodi lunghi che facevo da solo a Medjugorje, Maria mi fece incontrare Gesù Eucarestia e raggiungere così una delle mete prefisse nella sua scuola dell’amore. Ma la lotta fu contro gli ostacoli del demonio, che erano ancora grandi.
Avevo già incontrato Madre Rosaria, la fondatrice della nostra comunità e il secondo festival dei giovani a Medjugorje, istituito da P. Slavko Barbaric, era vicino. Eravamo in luglio. Un mio amico messicano, con cui trascorsi quel periodo a Medjugorje, incaricato da Madre Rosaria, mi disse prima del festival: “Ehi Roland, tra alcuni giorni inizia il festival dei giovani! Vieni a suonare!”.
Mentre ascoltavo le sue parole sentivo dentro di me una mostruosa resistenza. Con diplomazia risposi: “Ah sì, adesso vediamo”. Passarono i giorni e venne il giorno in cui dopo il programma serale iniziava il festival. Allora mi dissi: “Vado ad imboscarmi in un ristorantino farò una cena prolungata, tranquillo tranquillo, così non mi troverà e non ci andrò!” Così andai in un ristorantino e mi nascosi nell’angolo più remoto del locale e cominciai a cenare. E il tempo passava.
Ogni tanto guardavo l’orologio ed ero sempre più tranquillo. Ma!? Alzo la testa e chi vedo? Quel benedetto amico che stava entrando serenamente proprio in quel locale e guardava e guardava, mi vide e disse: “Ah qui sei! Vieni, vieni sta per iniziare il festival!”. È indescrivibile ciò che sentii dentro.
Un nero, una ribellione una resistenza così forte che mi fece prendere la mia chitarra e avviarmi con lui verso la Chiesa come un cane bastonato.
Arrivammo alla tenda verde dietro la chiesa, dove era preparato un altare con tante candeline rosse per il Santissimo e tanti giovani che erano già lì con chitarre, flauti e altri strumenti. Mi disse l’amico: “Mettiti lì e suona con loro!”. Mi misi lì, e quello che sentivo dentro era terribile, mi sentivo un imbecille, uno stupido: “Cosa faccio qui io, sono tutti matti” mi dissi.
Con questi sentimenti stavo lì ad aspettare, non sapevo cosa, solo che iniziasse qualcosa. Non passò tanto tempo ed entrò un padre francescano con il Santissimo e lo depose in cima sull’altare e noi incominciammo il canto: Adoramus Te Domine. Vi dico: mentre insieme si suonava quel canto, quella melodia semplice, alla presenza di quell’Ostia bianca lì su, le nuvole nere che erano dentro di me, che erano reali, si dileguarono e si dissolsero nell’aria e nel mio cuore entrarono una gioia e una pace indescrivibili. La gioia di essere lì.
Fu il mio primo incontro con Gesù nella santa Eucarestia, accompagnato da Maria. Le opposizioni interiori che avevo non erano solo per questo. Nei giorni seguenti uno dei frati francescani che teneva una delle conferenze, fece la domanda a tutti se c’era qualcuno che si sentisse di offrirsi come anime vittime per mezzo di Maria per la salvezza del mondo.
Quando il frate fece quella domanda il mio cuore si agitò, sentivo che quelle parole erano per me, ma non ne volevo sapere. Non ero ancora libero abbastanza per accogliere la voce del Signore. Ma fu lì che iniziò, sorretto dalle preghiere di Madre Rosaria, il cammino di preparazione per arrivare a cogliere sempre più la mia vocazione.
Padre Slavko spesso disse: ” La Madonna è venuta a Medjugorje per ricordarci che Dio esiste, che siamo preziosi agli occhi suoi e che Egli ha un piano meraviglioso, un progetto per ciascuno di noi”. Lo dobbiamo scoprire quotidianamente nella preghiera e convertirci sempre più a Lui, lasciando che la grazia tolga gli ostacoli che si oppongono alla realizzazione dei piani di Dio.
La Mamma celeste sapeva che avevo bisogno, dopo essere stato liberato dal male più pesante, per così dire, di qualcuno che mi guidasse concretamente a trovare la strada della mia vita, che era insabbiata dall’errore e dal peccato.
In seguito, Madre Rosaria mi invitò per una settimana a seguirla nei suoi pellegrinaggi e nelle sue attività evangelizzatrici. Stando con lei sentivo che si viveva lo spirito di preghiera di Medjugorje anche in Italia in modo intenso. Lunghe preghiere, veglie e pellegrinaggi.
La mia anima aveva bisogno di questo. Un giorno, attraverso un avvenimento banale in casa di Madre Rosaria, scoprii uno dei miei punti più deboli, sul quale dovevo lavorare molto. C’erano sul tavolo della cucina due bottiglie, una di aranciata e una di coca cola. La Madre mi chiese: “Cosa vuoi, aranciata o coca cola?” e io risposi timidamente: “È lo stesso.” Lei mi disse: “No, non è lo stesso, devi decidere!”. In quelle parole percepii una voce che mi esortava a prendere coscienza di quel male che si era velato in certi modi di comportarsi e di agire, troppo condizionati dalla fragilità per essere più fermi e retti nelle azioni.
Capii che per amare si deve essere veri, trasparenti, altrimenti i comportamenti sono ambigui e incerti. Nel 1993 lasciai casa mia per andare a vivere con quel piccolo gruppo che si stava formando attorno a Madre Rosaria. Attraverso la vita comunitaria si avviava così un’altra tappa della mia guarigione e della mia crescita, attraverso la quale ho potuto scoprire tanti altri punti oscuri del mio cuore.
La Madre mi diceva: “Tu sei in un tunnel e hai bisogno di essere guidato fuori da qualcuno di cui ti devi fidare, devi lasciarti prendere per mano e farti guidare perché da solo non ce la fai”. Io sentivo fortemente il suo amore per me.
Fu lei che con tanta pazienza, comprensione, sopportazione e con tanta preghiera mi amò, mi aiutò. Ero ancora molto egoista, individualista, orgoglioso, chiuso e difficile da manovrare; ero sempre stato abituato a vivere da solo.
Ero fragile, ma quando si trattava di difendere le mie vedute e i miei interessi, spesso sbagliati, mi facevo forte, pensando di non aver bisogno di nessuno. Nella mia miseria volevo essere sempre autosufficiente. Invece poi piano piano, ho scoperto la ricchezza e il dono dell’altro, la necessità dell’altro e che ogni cosa è dono, niente è dovuto, niente è scontato. L’altro è necessario per vivere nell’amore e nella pienezza dell’amore. Con quella perseveranza nell’amore della madre ho potuto fare esperienza dell’amore divino che si manifesta nel perdono e nella donazione incondizionata.
Nelle mie infedeltà, nelle mie ribellioni tante volte avrei lasciato il cammino che mi ha portato a comprendere la vera felicità interiore che viene con il sacrificio, con la donazione, pensando più all’altro che a se stessi e che sfuggivo e non avevo voluto imparare prima.
Uno dei primi canti che ho scritto fu Madre del cielo, lo scrissi in un ritiro a Medjugorje con Madre Rosaria nel 1993 per ringraziare la Madonna per tutto ciò che aveva fatto per me. In quel canto ho preso dai messaggi di Maria tanti spunti e in uno di questi Lei dice che vuole che siamo felici su questa terra e poi un giorno in cielo con Lei: “la felicità tu vuoi per noi, già qui su questa terra”.
Quando cantavo questo canto spesso pensavo che quelle parole valevano solo per gli altri, ma non per me, perché passavo lunghi periodi di sofferenza e di tribolazione perché il Signore doveva raddrizzare la pianta del mio essere.
Per arrivare a comprendere che quello che la Madonna intende in quel suo desiderio ho dovuto passare molto tempo in comunità e allora ho capito che intendeva quella felicità che è frutto del sacrificio della croce, della perseveranza e costanza, che io cercavo sempre di evitare. Ma tutti sappiamo che le gioie del mondo sono quelle che si hanno subito e senza fatica, invece quelle che durano sono quelle gioie che sono costate fatica e lotta, e sono quelle gioie che riempiono il cuore di stabilità ed equilibrio. La cosa più difficile in questo, è la lotta per riuscire a superare se stessi sempre più per amare Dio e gli altri. Un altro verso di questo canto è: “liberaci da ogni schiavitù, per vivere di più”. Queste parole le ho vissute profondamente perché sono riferite a tutti coloro che vivono schiavi degli idoli del mondo, schiavi di se stessi, schiavi delle macchinazioni del diavolo che incatenano, come lo ero io, e tengono il cuore dell’uomo lontano dall’amore di Gesù, dalla verità.
Tutti questi soffrono, soffrono tanto, sono quelli che non amano. Solo colui che ama è colui che vive, più si ama più si vive. Gesù ha detto: “sono venuto per dare la vita in abbondanza”. Non si finisce mai di amare su questa terra, non si finisce mai di perdonare. In questo sta la perfezione cristiana. “Vincolo di perfezione è la carità”, la carità che trova il suo apice nel perdono gratuito e incondizionato di Gesù che sulla croce ha detto: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Questo è il programma di vita che ho imparato in comunità e vale la pena di viverlo, per tutti, nessuno escluso. Con il consiglio di Madre Rosaria incominciai di nuovo la scuola. Feci il primo anno di liceo classico, nel quale dovevo anche perfezionare la lingua italiana, essendo di madrelingua tedesca. Fu un anno terribile. Stavo imparando così a sacrificarmi e ad essere perseverante. Solamente con il sostegno di coloro che mi stavano attorno e la preghiera, sono stato capace di concludere il primo anno.
Intanto si era acuita molto la malattia di mia mamma, che ha sofferto per oltre 13 anni la malattia di Altsheimer, assistita eroicamente dal mio papà fino alla fine. Ciò fu uno dei motivi che mi fece tornare a Bolzano e concludere gli studi superiori nella scuola privata, facendo 4 anni del linguistico in due anni.
Nel 1996, poi, sono tornato in comunità definitivamente. Dopo un anno di preghiera nella casa della comunità a Medjugorje, ho iniziato e terminato gli studi di teologia presso l’università di Bologna, insieme con Luigi mio confratello di comunità.
In almeno 10 lunghi anni la Mamma celeste mi ha guidato a compiere piano piano ciò che è la mia chiamata. Con tanta pazienza.
Attraverso la comunità mi ha insegnato la perseveranza e soprattutto il vivere la fede e il vivere nella purezza della fede, come ha fatto Lei, sperare contro ogni speranza, amare, perdonare ed essere riflesso della misericordia infinita di Dio.
Ciò che si è sviluppato insieme a Madre Rosaria è una piccola comunità in formazione di vita religiosa, con il carisma della riparazione. Era quello che avevo percepito nelle parole profetiche di quel frate, molti anni prima, al festival dei giovani, di cui ho parlato. Noi stessi siamo stati i primi a usufruire di quella grazia della vicarietà, con cui si intende il ricevere delle grazie per chi non le cerca né merita, ma che la generosità e l’offerta di altri fratelli hanno meritato.
Insieme a Maria, Madre di Misericordia, siamo stati chiamati da una vita che non aveva più senso e che ci avrebbe lasciati nelle tenebre per sempre. Ora anche noi offriamo la nostra vita e le nostre preghiere per mezzo di Maria e insieme a Lei per gli altri, affinchè tanti possano fare l’esperienza dell’amore di Dio che risana e converte.
Dal 1995 la nostra piccola comunità è presente a Medjugorje, vivendo il programma di preghiera comunitaria e servendo la parrocchia con l’animazione della preghiera e della santa Messa in lingua italiana.
Concludendo voglio ringraziare la Santissima Trinità per il dono di Medjugorje e di Maria, Regina della Pace, per tutti coloro che hanno creduto, sostenuto e promosso Medjugorje, per tutti coloro che hanno pregato e sofferto per la mia conversione e mi sostengono ancora adesso con il loro amore e le loro preghiere, e prego affinchè in modo particolare tutti i giovani abbiano la grazia di trovare sempre la forza di affrontare con coraggio la vita, che vale la pena di essere vissuta, e credere che nessun passato può impedire all’amore di Dio di formare grandissimi santi, e che possano trovare persone mature e forti nella fede e nell’amore divino, per guidarli sul giusto cammino: il cammino della croce che porta alla risurrezione e alla gioia della vita eterna.